LONDRA, 2 Marzo – Ha provocato una serie di polemiche l’articolo pubblicato dal Journal of Medical Ethics e firmato da due ricercatori italiani all’estero, Francesca Minerva e Alberto Giubilini. Tema dell’articolo è l’infanticidio, che i due ricercatori considerano al pari dell’aborto e per questo motivo andrebbe legalizzato. Secondo gli autori dell’articolo, infatti, il neonato, al pari del feto, non ha lo status morale di una reale persona umana, per questo motivo l’aborto dopo la nascita (infanticidio) dovrebbe essere permesso in tutti i casi “in cui è permesso l’aborto, inclusi i casi in cui il neonato non è portatore di disabilità”. Parole che hanno suscitato una serie di polemiche è che partono dal non considerare il neonato come una persona.
Il titolo dell’articolo è “Aborto dopo la nascita, perché il bambino dovrebbe vivere?” e arriva alla conclusione che, nelle prime settimane di vita, il bambino non ha interessi proprio, al pari del feto, come detto, e quindi è soggetto alle scelte di chi lo circonda, qualora si presentassero problemi alla nascita. Per i due autori, l’infanticidio dovrebbe essere ammesso nei “casi in cui il neonato ha il potenziale per avere una vita (almeno) accettabile, ma il benessere della famiglia è a rischio”. “Se i criteri come i costi (sociali, psicologici, economici) per i potenziali genitori – continuano Minerva e Giubilini nell’articolo – sono buone ragioni per avere un aborto anche quando il feto è sano, se lo status morale del neonato è lo stesso di quello del bambino e se non ha alcun valore morale il fatto di essere una persona potenziale, le stesse ragioni che giustificano l’aborto dovrebbero anche giustificare l’uccisione della persona potenziale quando è allo stadio di un neonato”. Secondo i due ricercatori, l’infanticidio dovrebbe avvenire nelle prime due settimane, quando il bambino non è ancora autocosciente: dopo questo periodo di tempo, il neonato da persona potenziale diventa persona a tutti gli effetti e, quindi, non è possibile procedere con l’aborto post-nascita.
Feroci sono state le critiche e non sono mancate minacce ai due ricercatori. Ad annunciarlo è il direttore del giornale che ospita l’articolo, Julian Savulescu: “Il Journal ha ricevuto email di insulti, per lo più anonime, per la decisione di pubblicare l’articolo”. Il direttore difende la scelta di andare in stampa specificando che lo scopo della rivista non è quello di promuovere leggi morali, “ma presentare opinioni ragionevoli basate su premesse diffusamente accettate”. Sgomento è quello che hanno espresso i vescovi de “L’Avvenire”: “A fare scalpore non dovrebbe essere solo il contenuto del saggio, ma anche il rpestigio accademico di cui godono certe argomentazioni”.
Augusto D’Amante