ROMA, 27 Febbraio – Ancora una volta, i medici di medicina generale, vengono tirati in ballo come capro espiatorio del mal funzionamento del servizio di emergenza. Secondo Pina Onotri, segretario organizzativo regionale dello Smi-Lazio e responsabile nazionale del servizio di Continuità Assistenziale (ex guardia medica), «il sovraffollamento dei Pronto Soccorso del Lazio non è certo dettato dalla mancanza di filtro tra i pazienti e i medici di famiglia. Lavoriamo senza sosta ed ospedalizziamo solo quando necessario. Basti pensare che, nel periodo influenzale, la Centrale di Ascolto del servizio di Continuità Assistenziale di Roma, per la sola area metropolitana, ha registrato circa 600 chiamate al giorno, ed oltre 350 visite domiciliari durante il sabato e la domenica, senza contare i casi di urgenze/emergenze notturne. Inoltre – aggiunge la sindacalista – i medici di famiglia che operano nelle Unità di Cure Primarie (Ucp) dislocate sul territorio, e i sanitari addetti alla Continuità Assistenziale (in costante sotto-organico), assicurano l’assistenza sanitaria territoriale 7 giorni su 7 e 24 ore su 24 per 365 giorni all’anno, anche se qualcuno sembra ignorare questa realtà». Quindi Pina Onotri conclude sottolineando che: «il malfunzionamento dei Pronto Soccorso è imputabile al taglio dei posti letto, alla demedicalizzazione delle ambulanze, al precariato, al blocco del turn-over e alla carenza di personale medico e paramedico. Questi sono i parametri su cui bisogna agire. Ne è una prova il flop del progetto della Regione Lazio relativo agli “Ambulatori Blu” per l’influenza, attivi presso 9 Pronto Soccorso del territorio.
Il fallimento di questo programma, che ha registrato pochissimi accessi, infatti, dimostra che i pazienti affetti da influenza, fanno riferimento al proprio medico di famiglia e non certo all’assistenza ospedaliera. Così come avviene per i codici bianchi, che rappresentano una percentuale molto bassa dell’utenza». In questo scenario, aggiunge Gian Marco Polselli, vice presidente Fvm-Lazio, «gli unici a rispondere in prima persona sono rimasti i medici di famiglia, ospedalieri, convenzionati e dirigenti attraverso lo screditamento e le sospensioni, come avvenuto al Policlinico Umberto I di Roma. Siamo sicuri che le responsabilità non vadano cercate altrove? Chi dirige le Asl e gli ospedali dovrebbe mettere i medici in condizione di lavorare al meglio, ma questo non sempre accade. Lo Smi-Lazio – evidenzia in conclusione Gian Marco Polselli – chiede alla Regione un’azione straordinaria di riorganizzazione dei servizi di urgenza, ospedalieri e territoriali con la partecipazione dei sindacati e delle società scientifiche».
Smi-Lazio Ufficio Stampa