ROMA, 20 Marzo – La notizia è trapelata solo ieri: nella notte tra il 17 e 18 marzo, un altro detenuto, Roberto Patassini, è stato trovato morto nella sua cella dopo essersi impiccato nel carcere di Mammagialla di Viterbo. Arrestato nel 2006 per reati connessi alla prostituzione minorile e successivamente condannato, Patassini avrebbe finito di scontare la sua pena nel 2022. Era rinchiuso nell’area protetta riservata ai detenuti condannati per reati sessuali. Molti la definiscono la meno “ospitale” dove gli stessi carcerati sono soggetti a estenuanti turni di isolamento e dove il silenzio fa più rumore di uno schianto. La rassegnazione, la depressione e la sofferenza spesso provocate dal rimorso non lasciano scampo.
Di certo, Roberto Patassini, non ha retto a un urto così tremendo, scegliendo deliberatamente di togliersi la vita. Sempre nello stesso carcere, un altro detenuto ieri ha tentato, riuscendoci, di aggredire due guardie carcerarie. Dopo aver divelto un lavandino, infatti, non ha esitato a scagliarlo contro gli agenti ferendoli in modo fortunatamente lieve. Questo ennesimo suicidio conferma quanto ormai sia diventato delicato e preoccupante il problema delle nostre carceri. I numeri parlano chiaro: da inizio anno ad oggi, marzo 2012, siamo arrivati a 34 detenuti morti, di cui 13 suicidi. In sostanza, la condizione di vita nelle carceri nostrane rasenta la disumanità.
Non solo, nei 206 istituti di pena, la capienza totale regolamentare è di 45.742 unità. In realtà, invece, il numero attuale di detenuti sfiora i 67.000. Conseguenze ineludibili: sovraffollamento esasperato, condizioni igienico-sanitarie al di sotto della norma, stato di abbandono e scarso rispetto per la dignità umana. Le innumerevoli condanne della Corte Europea che in più occasioni ha cercato di richiamare all’ordine le nostre istituzioni, invitandole a impegnarsi seriamente per porre un freno a questo scempio, non hanno finora portato a risultati significativi.
Silvio Manzi