ROMA, 21 LUGLIO – L’inchiesta sulla fabbrica di cavie di Montichiari è iniziata da appena qualche giorno. Tra documenti da analizzare, perizie da condurre e dipendenti da ascoltare, la mole di lavoro degli inquirenti è notevole. Per presidente, direttore e veterinario della Green Hill le cose si fanno sempre più complicate. Sono indagati per ipotesi di maltrattamento di animali, reato al quale potrebbe aggiungersi quello di uccisione di animali senza necessità. Emergono oggi altre rilevanti informazioni e sull’azienda si allunga un’ombra sempre più scura.
Al vaglio degli inquirenti centinaia di file contenenti veri e propri protocolli di abbattimento, che fanno pensare che la pratica fosse una politica fortemente seguita dall’azienda. Dalla loro analisi emerge come venissero applicate le uccisioni a cuccioli, alcuni con meno di dodici mesi di vita, non conformi agli standard dei laboratori di sperimentazione. Bastava che presentassero una leggera deformazione fisica o una lieve patologia come una dermatite perché si procedesse al loro abbattimento. La conferma si avrà tuttavia solo in seguito agli esami istologici sulle carcasse congelate dei segugi sequestrate mercoledì. Inoltre gli inquirenti sono sempre più convinti che alcuni beagle siano stati venduti a centri di sperimentazione cosmetica. Ipotesi probabile, poiché la maggior parte degli animali non era stata registrata all’anagrafe regionale. Altro nodo da districare è il possibile inquinamento di prove. A quanto pare, il perito informatico della procura avrebbe assistito all’accesso remoto da un server statunitense, probabilmente dalla Marshall, la holding che controlla la Green Hill. Si è avanzata l’ipotesi che lo scopo fosse quello di modificare alcuni file. Dagli interrogatori ai dipendenti dell’azienda, infine, emergono numerose discrepanze rispetto ai documenti rinvenuti dagli inquirenti. Poche certezze dunque in un caso che ha fatto accendere l’indignazione dell’opinione pubblica.
Federica Sterza