ROMA, 6 Giugno – E’ ufficiale: Abu Yahia al-Libi, il numero due di Al-Qaeda, è stato ucciso in un attacco raid sferrato all’alba di lunedì a Hesokhel, a Est di Miranshah, capitale del Nord Waziristan, la regione tribale al confine con l’Afghanistan e roccaforte dell’estremismo islamico. Al-Libi aveva preso il secondo posto al comando dell’organizzazione terroristica quando l’egiziano Ayman al-Zawahri era diventato leader, dopo l’uccisione di Osama bin Laden.
Al Libi, catturato nel 2002 e consegnato agli americani, dopo tre anni di reclusione nella prigione di prigione afgana di Bagram, è riuscito ad evadere trasformandosi in una “primula rossa”. Una vicenda personale clamorosa che gli ha procurato l’ammirazione dei mujaheddin. Da allora è aumentata la frequenza dei suoi sermoni audio e video. Per l’esperto Jarret Brachman, i qaedisti lo presentano come “un pensatore moderno e un combattente”.
Jay Carney, portavoce di Obama, citando fonti dell’intelligence Usa, ha affermato alla Cnn che la morte di Al Libi rappresenta un “duro colpo” per l’organizzazione terroristica. Al Libi “ha svolto un ruolo primario nella pianificazione messa in atto dal gruppo contro l’Occidente, assicurando la supervisione delle operazioni esterne”, ma ora “non c’è un evidente successore all’altezza delle sue responsabilità”.
Dopo due giorni di assedio fonti pakistane contano almeno 15 persone morte rimaste a terra carbonizzate. La tensione è altissima: gli ultimi mesi a causa dei ripetuti attacchi, le relazioni tra Usa e Pakistan sono in crisi. Il governo di Islamabad sostiene che la campagna della Cia rafforza i sentimenti antiamericani nella regione e provoca danni collaterali intollerabili. Da novembre 2011 il Pakistan ha bloccato il transito dei rifornimenti dal suo territorio per le truppe Nato in Afghanistan. Questo proprio per ritorsione al rifiuto americano della richiesta di stop alla guerra dei droni Usa.
Marzia Fanciulli