JACKSONVILLE (Florida), 22 Marzo – Christian Fernandez, un ragazzo di tredici anni, rischia di passare il resto della propria esistenza in un carcere. L’accusa è di aver ucciso a sangue freddo il fratellino più piccolo, di soli 24 mesi, con un violento pugno alla testa.
Il reato non si discute, la colpa è stata accertata. Ciò che desta scalpore non è soltanto l’atto in sé per sé, ma anche il tipo di condanna che è stata pronunciata. L’alternativa potrebbe essere la reclusione in un carcere minorile – sostenuta da quasi 200 mila firme sul web – ritenuto da molti un luogo più adatto ad un criminale non ancora adulto. Ma si tratta pur sempre di un assassino, seppur tredicenne, sostengono altri. L’opinione pubblica si è infatti divisa, schierandosi chi per l’una, chi per l’altra ipotesi di pena.
La violenza del ragazzo si era già manifestata prima dell’omicidio avvenuto lo scorso anno. C’erano infatti stati altri episodi rilevanti, come quando aveva causato, sempre alla piccola vittima, la rottura di una gamba. Tutto questo porta molti a giudicarlo un pericolo per la società, che merita a tutti gli effetti di finire i propri giorni in carcere. I progressisti americani ritengono invece che la responsabilità di questo carattere difficile e “ribelle” non sia del giovane ragazzo, ma della famiglia e dell’ambiente in cui è cresciuto. Certamente il suo nucleo familiare non deve essere stato dei più sereni, ma ciò non giustifica di certo la morte di un piccolo innocente.
Norma Pasi