NEW YORK, 7 Marzo – Continuano i misteri intorno alla dinastia Kennedy. Questa volta a destare clamore è ciò che sostengono William Pepper e Laurie Dusek, i difensori di Sirhan Sirhan, l’uomo che, il 5 giugno 1968, avrebbe ucciso Robert Kennedy, vincitore delle primarie democratiche e fratello di John. I due avvocati sostengono che Sirhan sia stato ipnotizzato e manipolato: non è stato lui ad uccidere Bob Kennedy, nonostante abbia confessato il delitto durante il processo.
Pepper e Dusek hanno reso pubblica questa loro convinzione sugli schermi del network americano Abc, e hanno affermato di avere delle “prove formidabili” a supporto della loro tesi. Secondo i due legali, i 13 proiettili sparati nella sala dell’hotel Ambassador quella sera, non provenivano dalla stessa pistola. C’era quindi un secondo killer, quello che effettivamente avrebbe ucciso il senatore. “Dieci testimoni – affermano i due – sostengono che Sirhan è sempre stato di fronte a Kennedy, mai dietro di lui. Ma l’autopsia dice che la pallottola è stata sparata da una distanza ravvicinata da dietro l’orecchio destro”. Ribadiscono ancora che Sirhan abbia subito un vero e proprio lavaggio del cervello anche perché, ad oggi, l’uomo non ricorda nulla della strage. I due avvocati escludono anche che sia stato Eugene Cesar, la guardia del corpo di Kennedy, ad aver sparato, nonostante molti lo considerassero sospetto.
Per Cyril Wecht, patologo forense, uno dei due medici indipendenti che hanno esaminato il corpo di Kennedy dopo la sua morte, ha affermato che è scientificamente plausibile ipotizzare che qualcuno abbia indotto Sirhan ad uccidere o a dichiarare di aver ucciso, ma non sa se ci sono sufficienti prove per dimostrare se questo sia il caso. Intanto i legali hanno consegnato i documenti per riaprire il caso e riavviare il processo, durante il quale chiederanno la scarcerazione del loro assistito anche perché affermano che, dietro le sbarre del Pleasant Valley State di Coalinga, in California, Sirhan stia subendo “orrende violazioni dei suoi diritti”.
Augusto D’Amante